martedì 17 luglio 2012

Il G8 di Genova. Dopo la sentenza sulla scuola Diaz.

Il 21 luglio 2001 me lo ricordo bene. Da pochi giorni avevo il braccio ingessato per via di uno stupido incidente avuto in uno stupido torneo di calcetto per via di una stupida caduta (in realtà poi lo stupido ero io che non avevo fatto bene i conti con una routine da adolescente che mi stava già abbastanza stretta, ma tant'è) e mi trovavo a passare i pomeriggi e le sere con la mia futura moglie proprio in quel periodo che sarebbe passato a posteri come i tragici eventi del G8 di Genova.
Fino a quel momento i G8 erano delle riunioni tecnocratiche (oggi sono ancora più burocratiche e farraginose ma sono ormai estinte a favore degli allargati G20) dove le presunte potenze industriali del mondo prendevano decisioni e fondavano strategie per influenzare l'economia e (ambizione ancor maggiore) le politiche economiche con forti ripercussioni ovunque. Questi teatrini da Spectra di terz'ordine ma sotto agli occhi di tutti cominciavano a mostrare i primi segni di cedimento già da qualche anno, quando a Seattle nel '99 il movimento che verrà con un'infelice sintesi 'popolo no global' organizzò delle contro-manifestazioni per protestare su quelli che secondo lo stesso movimento erano gli aspetti deleteri della cosiddetta globalizzazione, in atto già da decenni a dire la verità, ma che l'evoluzione accelerata nel decennio precedente della tecnologia aveva messo in luce: impoverimento del Sud del mondo, aumento delle disparità sociali ed economiche, sfruttamento delle realtà locali più emarginate che rimanevano fuori dai profitti delle grandi multinazionali, sfruttamento indiscriminato delle risorse ambientali e danneggiamento degli ecosistemi locali fino ad arrivare a sostenere l'ipotesi del riscaldamento globale del pianeta. Temi oggi più familiari ma che allora venivano proposti per la prima volta con strategia di comunicazione veemente ed improvvisa, grazie ad internet soprattutto, che faceva apparire il movimento come qualcosa di uniforme e compatto agli occhi dell'opinione pubblica ancora attaccata alla televisione (e alla carta stampata) come unica fonte di informazione.

Tra l'esordio a Seattle e il G8 di Genova, il movimento aveva già promosso diverse proteste, sit-in e controproposte ma i media tradizionali sembravano porre sempre l'accento più che sui contenuti discussi sugli scontri sempre più accesi tra i manifestanti e le varie forze di polizia nazionali del luogo in cui veniva organizzata il tal incontro dei paesi cosiddetti industrializzato fosse il G7, il G8 o un forum economico.
A Genova si arrivò perciò con un carico di tensione alle stelle e il governo in carica, il secondo Berlusconi, sembrò particolarmente interessato a "pompare" l'evento, a gettare ulteriore benzina sul fuoco e a preparare il terreno per una miccia pronta a far esplodere un deposito di dinamite. Ministri italiani sul piede di guerra, forse dell'ordine in stato di allerta, minacce terroristiche o presunte tali annunciate o sventate da un giorno all'altro. Sembrava che in Italia stesse arrivando la feccia del mondo terroristico globale e stesse per scatenarsi l'inferno. Fu destabilizzante vedere che a fronte delle varie zone rosse, zone gialle e così via (altra terminologia entrata oggi così in voga) il movimento era composto per lo più da famiglie, molti anziani, piccoli agricoltori e rappresentanti di popolazioni piccole ma orgogliose, di etnie e minoranze che rivendicavano il diritto al riconoscimento del proprio ruolo nello sviluppo del mondo (chè l'etichetta no-global ma si addiceva al movimento che ringraziava per le opportunità che la globalizzazione offriva ma quando tutto è gestito da pochi che si fanno anche le regole le cose assumono una prospettiva e un esito diversi).
Poi ci fu Carlo Giuliani. Poi la Diaz e Bolzaneto.
Dopo anni di menzogne e depistaggi arriva la verità giuridica che ci racconta come sono andate le cose. Che purtroppo sono peggio di come uno se le immaginava, dai racconti dei testimoni italiani e stranieri. Che un giornalista inglese allora vivo testimone degli eventi racconta (e che Internzionale pubblica). Che ci descrivono un paese occidentale,democratico e moderno (?) in cui lo stato di diritto può essere sospeso a piacimento di pochi, senza limiti. E che, muovendoci oltre l'episodio squadrista della Diaz e Bolzaneto, getta un'ombra cupa sul mondo in cui viviamo, sul potere, su chi lo detiene e su chi decide delle nostre vite, sulle vite spezzate o segnate e sulle colpe riconosciute ma non pagate.

Il 2001 è per il mondo sinonimo di attacco terroristico alle Twin Towers, di 9/11, Al Qaeda, Bin Laden e della guerra in Iraq e Afghanistan, per l'Italia è anche l'inizio di un tentativo neanche tanto velato di ripristinare forme di controllo basate sulla coercizione, sulla violenza, sulla tortura in voga nel famoso ventennio fascista e che impongono una seria riflessione sul rapporto tra la nostra giovane democrazia e certi rigurgiti mai sopiti di alcune frenge di potere. Solo marginali? Ci sono gli anticorpi atti a fermarli? La sentenza della Corte di Appello e di Cassazione ci fa ben sperare (nonostante la magistratura sia sempre sotto attacco) ma è nel nostro agire quotidiano e nel supportare la democrazia e la legalità che certi virus devono estinguersi.

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