mercoledì 31 dicembre 2014

L'ultima storia ovvero l'universo labirinto





"31 dicembre, ultimo dell'anno. Cristoforo si era alzato da poco ma si sentiva già stanco di quella consunta abitudine di buoni propositi per l'anno che verrà e l'avvilente meditazione sui mesti bilanci dei dodici mesi antecendenti. Lanciò una triste occhiata al diario sgualcito, tirato fuori dal cassetto appesantito di cianfrusaglie e accessori da scribacchino della scrivania ed emise un lungo sospiro. Socchiudendo le palpebre, forse la parte di lui più rinvigorita dalla pulizia facciale a base di acqua corrente schiaffeggiata sul viso, si ripromise di concludere con un piccolo guizzo personale il 365° giorno di questo anno tremendo, vissuto come un'escursione nepalese su uno scalcinato bus tra le montagne himalayane, dove la miglior compagnia fosse costituita da capre da latte in procinto di defecare. Con uno scatto improvviso riaprì gli occhi, sfogliò rapidamente il diario fino a giungere all'ultima annotazione, quindi si posizionò alla prima pagina bianca disponibile. Ok, questo momento deve essere tutto per me, pensò. E scrisse:

"31 dicembre, ultimo dell'anno. Pablo si era alzato da poco ma si sentiva già stanco di quella consunta abitudine di buoni propositi per l'anno che verrà e l'avvilente meditazione sui mesti bilanci dei dodici mesi antecendenti. Lanciò una triste occhiata al diario sgualcito, tirato fuori dal cassetto appesantito di cianfrusaglie e accessori da scribacchino della scrivania ed emise un lungo sospiro. Socchiudendo le palpebre, forse la parte di lui più rinvigorita dalla pulizia facciale a base di acqua corrente schiaffeggiata sul viso, si ripromise di concludere con un piccolo guizzo personale il 365° giorno di questo anno tremendo, vissuto come una lunga attesa al peggior gabinetto della peggior sosta lungo le autostrade peruviane, dove la miglior compagnia fosse costituita dal più petulante dei turisti bianchi colto da crisi intestinale. Con uno scatto improvviso riaprì gli occhi, sfogliò rapidamente il diario fino a giungere all'ultima annotazione, quindi si posizionò alla prima pagina bianca disponibile. Ok, questo momento deve essere tutto per me, pensò. E scrisse":
 
"31 dicembre, ultimo dell'anno. Rinko si era alzata da poco ma si sentiva già stanca di quella consunta abitudine di buoni propositi per l'anno che verrà e l'avvilente meditazione sui mesti bilanci dei dodici mesi antecendenti. Lanciò una triste occhiata al diario sgualcito, tirato fuori dal cassetto appesantito di cianfrusaglie e accessori da scribacchino della scrivania ed emise un lungo sospiro. Socchiudendo le palpebre, forse la parte di lei più rinvigorita dalla pulizia facciale a base di acqua corrente schiaffeggiata sul viso, si ripromise di concludere con un piccolo guizzo personale il 365° giorno di questo anno tremendo, vissuto come l'agonizzante solitudine dell'ultimo tilacino, il cane tigre australiano, dove la miglior compagnia fosse costituita dai custodi e dai naturalisti del parco zoo, con i loro sguardi divertiti e febbrili. Con uno scatto improvviso riaprì gli occhi, sfogliò rapidamente il diario fino a giungere all'ultima annotazione, quindi si posizionò alla prima pagina bianca disponibile. Ok, questo momento deve essere tutto per me, pensò. E scrisse":

 C'è un italiano, in una stanza, da solo, che immagina le nostre vite. È un creatore di storie, assemblatore di labirinti che non hanno fine e non hanno inizio. Un flusso ininterrotto che si auto riproduce. Un universo in una goccia. Noi siamo in una di queste infinite gocce, ma non sappiamo quale. E a dirla ignoriamo anche come facciamo a saperlo. Una domanda rimane senza risposta: da dove viene quell'italiano?"

martedì 25 novembre 2014

L'avamposto di una splendida italiana


Ci sono persone e ci sono persone speciali, si tramandano miti e si narrano leggende e ci sono persone che con la loro perseveranza raggiungono traguardi magari semplicemente inaspettati; c'è la retorica dell'eroe che non si lascia abbattere dai colpi infertigli dal Destino e c'è la caparbietà meticolosa di chi si dedica anima e corpo ad un sogno che poi diventa una missione ma non in senso religioso, proprio una m-i-s-s-i-o-n-e e la persona in questione è una giovane donna italiana che si chiama Samantha Cristoforetti, la missione si chiama Futura. È partita il 23 novembre 2014 per conto dell'ESA (European Space Angency) e dell'ASI (Agenzia Spaziale Italiana) sulla stazione spaziale internazionale, meglio nota con l'acronimo ISS da Baikonur, in Kazakhstan.


La storia di Samantha è quella esemplare di ogni bambino o bambina con un sogno, quello di volare, tanto in alto da raggiungere le stelle ma fissare ad occhi aperti il cielo azzurro o la notte stellata non è più sufficiente ma è la spinta decisiva a far intraprendere dopo il liceo la facoltà di Ingegneria Aerospaziale per entrare nell'Aeronautica Militare Italiana (dove ha raggiunto il grado di capitano). Qui il caso volle (per i meno smaliziati si può parlare di Destino, vedi sopra) di riuscire a cogliere l'opportunità di essere selezionata per il programma spaziale europero, lo stesso che ha portato già tanti italiani in orbita (sei per la precisione: Malerba, Cheli, Guidoni, Vittori, Nespoli e Parmitano).


Il programma è molto duro e lungo e Samantha si prepara dal 2009 ad affrontare questa che per la gente "normale" può sembrare poco più che una simpatica e costosa per quanto affascinante avventura ma che spesso si dimentica essere uno dei percorsi pionieristici che proiettano il genere umano verso lo spazio e perciò a farci diventare tutti un po' extraterrestri. Tuttavia la giovane "montanara" (è originaria di Mulè, un piccolo paesino trentino) ha affrontato questo percorso con la determinazione di una wonder woman, come ci si aspetterebbe da un astronauta di formazione militare, ma sempre con un piglio sereno, sorridente e leggero, lei abituata a viaggiare spesso e ad adattarsi presto a nuovi luoghi, nuove lingue e nuove culture (ha studiato e si è laureata a Monano di Baviera e parla fluentemente oltre all'italiano, l'inglese, il tedesco, il russo e studia anche il cinese).

In questi casi i social media esprimono forse il loro potenziale migliore, avvicinare le persone e renderle partecipi delle esperienze che sta vivendo qualcun altro, diventa estremamente intenso e coinvolgente avere l'opportunità di entrare nella routine di un'astronauta (al femminile!), capire quanto impegno e dedizione occorre mettere per vivere questa avventura e percepire pienamente le ricadute che potranno avere in futuro.

Così diventa anche più semplice capire perchè Samantha Cristoforetti è un modello da seguire per tutti quelli che con sconforto guardano al domani, perchè anche se non tutti vogliamo o possiamo ambire alle stelle, possiamo e forse dobbiamo essere più ottimisti, perchè se la felicità non è un regalo che abbiamo meritato, è però la sfida giornaliera che i nostri sforzi tramutano in un tesoro che una volta conquistato brilla solo per noi, di cui noi soli siamo i custodi e i destinatari finali. Dobbiamo trovare il nostro tesoro, farlo brillare e di riflesso illuminare il nostro cuore.

Samatha Cristoforetti e lo staff dell'ESA sono attivissimi sui social media e lo saranno ancora di più con l'avvio ufficiale della missione FUTURA per cui rimando tutti ai link ufficiali dei loro "avamposti" in rete:

http://avamposto42.esa.int/

https://twitter.com/Avamposto42

https://plus.google.com/+SamanthaCristoforetti/

https://twitter.com/AstroSamantha

https://www.flickr.com/photos/astrosamantha/

Chi non avesse colto tutti i numerosi riferimenti di Samantha e della missione nonchè dei nomi scelti per i vari siti o nickname, consiglio caldamente l'imprescindibile libro di Douglas Adams, Guida galattica per Autostoppisti meglio nota come The Hitchhiker's Guide to the Galaxy.

Don't Panic!


 



martedì 11 novembre 2014

Non mi esce dalla testa (28)

Quando ho ascoltato per la prima volta questo pezzo sono rimasto fulminato. Non credevo che gli autori di Bohemian Rapsody e Somebody to Love fossero riusciti a mettere tanto furore acido e odio in maniera così perfetta e schiumosa. L'inizio è un viaggio psichedelico e allucinante in una mente rapidamente obnubilata dalla rabbia, le note di chitarra elettrica successive sono degli spilli appuntiti che trafiggono il cervello e gli grida "EHI, STRONZO, È ORA DI TIRARE FUORI LE PALLE E URLARE!".

Live:



Studio:



You suck my blood like a leech
You break the law and you breach
Screw my brain till it hurts
You've taken all my money - you still want more,

Misguided old mule
With your pigheaded rules
With your narrow - minded cronies who are fools of the first division-

Death on two legs -
You're tearing me apart,
Death on two legs
You never had a heard of your own -

Kill joy, Bad guy,
Big talking, Small fry
You're just an old barrow - boy
Have you found a new toy to replace me,
Can you face me -

But now you can kiss my ass goodbye

Feel good, are you satisfied

Do you feel like suicide (I think you should)
Is your conscience all right
Does it plague you at night,
Do you feel good - Feel good!

Talk like a big business tycoon,
But you're just a hot - air balloon,
So no one gives you a damn,
You're just an overgrown school - boy
Let me tan your hide.

A dog with disease,
King of the 'sleaze'
Put your money where your mouth is Mr. Know all,
Was the fin on your back part of the deal...(shark!)

Death on two legs
You're tearing me apart
Death on two legs -
You never had a heart of your own,
(You never did, right from the start)

Insane you should be put inside,
You're a sewer - rat decaying in a cesspool of pride
Should be made unemployed
Then make yourself null - and - void,
Make me feel good
I feel good. 


Death on Two legs, una canzone scritta da Freddy Mercury, eseguita dai Queen, per noi sull'orlo di scoppiare.

domenica 12 ottobre 2014

5 cose che imparato guardando la puntata di Report sulla pizza



Domenica 5 ottobre 2014, Milena Gabanelli ci ha introdotto in un viaggio attraverso il meraviglioso mondo della pizza italiana, che fa molto il paio con la puntata della corsa stagione dedicata al caffè. Potete recuperarla sul sito della Rai. Non qui, questo è il mio blog, non un servizio on demand.




Sorvolando sulle consuete polemiche che sorgeranno sul mestiere del giornalista, sul benaltrismo che ne consegue e gli innumerevoli rivoli di parole per giustificare questo e quello da ambo le parti delle barricate di un delle mille battaglie che si combattono tra corporazioni (in questo caso giornalismo d’inchiesta vs ristorazione), posso dire che personalmente ho imparato molto da questa oretta e mezza di approfondimento sul vessillo italico bianco rosso e verde sui piatti dell’orbe terracqueo conosciuto, alcune di queste cose sono mezze sorprese, altre tragiche conferme.



1. A Napoli la pizza fa schifo come in qualunque altra parte d’Italia (e non solo)

Bando ai pregiudizi, quando si parla di pizza (o di caffè, come l’inchiesta della scorsa edizione) non ci dovrebbe essere posto per mangiare una pizza più buona che il luogo di nascita della pizza Margherita, uno dei piatti più buoni mai concepiti in relazione alla brevità della ricetta (se la gioca con l’amatriciana nel campionato italiano di “rivoli di olio e d’amore scivolano verso il mio mento “).


Tuttavia, a differenza dei ristoratori cinesi che, superata l’offesa razzista dello stereotipo, in South Park si scoprono ottimi costruttori di muraglie, non sembra che basti essere nati a Secondigliano o battezzati al Vomero, per fare una eccellente pizza, anzi pur non mancando pizzerie storiche, campioni mondiali  o artisti dell’impasto, tra una lievitazione non adeguata o ingredienti scadenti pochi pizzaioli della napoletana doc passano l’esame. Questa volta però è solo l’orgoglio ad essere ferito perché per come fanno la pizza nel resto d’Italia non c’è da stare allegri. Per noi clienti, intendo.


2. Viva la pizza (congelata)

Fa molto strano entrare in un locale attratti dai profumi dai colori e da quel languorino che ti farebbe andare bene anche una scarpa fritta e scoprire che il gustoso sapore di quel trancio farcito da due euro e cinquanta in realtà è indotto dai tuoi bisogni famelici e dalla mancanza di alternative, nonché dal mancato processo delle informazioni visive suggerirti che del pomodoro è rimasto il colore mentre la bufala che ha fornito il latte per quella mozzarella (?) è deceduta mesi addietro. 






3. I pizzaioli non sanno cosa fanno (ve la sentite di condannarli?)

Ah, i sapori di una volta, il mestiere che si impara con il duro apprendistato e le ricette tradizionali tramandate di padre in figli! Se oggi non proprio tutti i pizzaioli sono figli di pizzaioli, molti di questi imparano la tecnica praticamente sul campo, ovviamente con i clienti come cavie. Sì perché non solo non esistono corsi nelle scuole che preparano per il settore della ristorazione (se non corsi sponsorizzati da questo o quell’ente formativo, qualche associazione di categoria, molti docenti improvvisati, spoiler: vedi al punto 4) ma gli stessi pizzaioli storici non sembrano dei maestri affidabili.



Spesso, ma non è il caso solo della pizza, la scelta di usare taluni ingredienti piuttosto che altri è affidata al buon vecchio motto” si è fatto sempre così”, perciò mai chiedere spiegazioni o chiarimenti troppo approfonditi al pizzaiolo, men che meno se italiano, se è egiziano è caso pure che qualche libro o ricetta se li sia studiati o ha un passato da cuoco. Farine? Solo la doppio zero, già la zero è una raffinatezza per eccentrici. Olio Extravergine? Ma quando mai, troppo pesante! Molto meglio quello del boccione da 5 l di girasole! Oppure quello di soia per una pizza al bacio! Mozzarella? Formaggio tedesco ovviamente! San Marzano? Ma sei matto? Vai di concentrato! Il fumo nel forno? Ci facciamo sostare un po’ la pizza così mangiamo pure affumicato!


4. Non esiste la figura professionale del pizzaiolo

Ma il pizzaiolo è un cuoco o un semplice assemblatore



 Mentre in pratica spesso molti esercenti che vendono pizza non sono i “manifattori” della stessa, un pizzaiolo in teoria è quello che sceglie gli ingredienti, li elabora, li combina per creare ogni volta un prodotto unico, che racconta anche una storia, spesso legata al territorio e questo costituisce la cultura del cibo che, a parole, esportiamo nel mondo e serviamo quotidianamente sulle nostre tavole. Tuttavia in Italia non sembra esserci un iter istituzionalizzato che riconosca questa figura, diversa dal cuoco ma non assimilabile ad un operatore (?) di un qualunque fast food. Italia, SVEGLIAAA!!!


5. La qualità si paga (ma alla fine…paga!)

Non tutto è perduto. Nella deriva generale della leggenda che vuole l’Italia patria del buon mangiare e del cibo sano, c’è effettivamente qualche baluardo che si regge a difesa della tradizione e della reinterpretazione in chiave moderna del concetto di ristorazione, ivi compresa il sottovalutato mondo della pizza. Attenzione alla qualità delle materie prime, rispetto delle procedure di esecuzione della lievitazione degli impasti, sperimentazioni audaci per esaltare il sapore senza l’uso di additivi artificiali, rispetto del consumatore che viene trattato come un ospite al quale si vuole offrire un’esperienza sensoriale.



Se questa fosse la cultura proposta nelle scuole e nei corsi laddove essa latita e nella terra dove solo una sparuta rappresentanza di difensori della Napoletana Verace cerca di diffondere un minimo di rispetto per il prodotto, potremmo veramente essere orgogliosi di essere la Terra della Pizza e rivendicare, con schiena dritta e sguardo fiero, di esserne il baluardo del tricolore del gusto e del sapore italici!
 

venerdì 19 settembre 2014

Non mi esce dalla testa (27)

Oggi sto incazzato, quindi per unirsi al mio personale rito di incanalamento della rabbia, oltre il tradizionale pezzo che marca questa mia altrettanto personale e fin tropo ricorrente rubrica, ci metto anche le liriche: la prima volta sentitite il testo, la seconda lo ripetete a bassa voce seguendo la musica, la terza, la quarta e la quinta la cantata a volume crescente fino a livello SQUARCIAGOLA!
Oh, se non mi passa l'incazzatura, saprò il perchè...



Oh, the heads that turn
Make my back burn
And those heads that turn
Make my back, make my back burn

The sparkle in your eyes
Keeps me alive
And the sparkle in your eyes
Keeps me alive, keeps me alive

The world
And the world turns around
The world and the world, yeah
The world drags me down

Oh, the heads that turn
Make my back burn
And those heads that turn
Make my back, make my back burn, yeah

Yeah-hey...

The fire in your eyes
Keeps me alive
And the fire in your eyes
Keeps me alive
I'm sure in her you'll find
The sanctuary
I'm sure in her you'll find
The sanctuary

And the world
The world turns around
And the world and the world
The world drags me down
And the world and the world and the world
The world turns around
And the world and the world and the world and the world
The world drags me down

Ah...

Hey-yeah...

And the world
And the world turns around
And the world and the world
Yeah, the world drags me down
And the world
Yeah, the world turns around
And the world and the world
The world drags me down

Sanctuary
Sanctuary
Sanctuary
Sanctuary

venerdì 5 settembre 2014

Non mi esce dalla testa (26)

Oggi nasceva Frederick Bulsara, ma per gli amici rimane sempre Freddie Mercury. Artista sensibile, uomo imbevuto di amore per la vita e dalla estrema riservatezza fuori dal palco, è noto ovviamente per i numerosi pezzi dei Queen, mi piace ricordarlo anche per le struggenti musiche composte e scritte da solista. Oggi razione doppia.




mercoledì 27 agosto 2014

Metti un Manara in copertina






 
Milo Manara è un maestro del fumetto erotico, il suo nome è quasi sinonimo di erotismo e anche senza la ormai consueta ricerca per immagini su internet, numerose sue illustrazioni sono state utilizzate anche al di fuori del campo prettamente fumettistico.
Da qualche anno a questa parte Manara ha avviato una collaborazione con la Marvel, dapprima con una chicca X-Girls: Ragazze in fuga, una storia che vede protagoniste le principali protagoniste femminili degli X-Men sceneggiata nientepopodimeno che dall’artefice principale del successo degli uomini X cioè Chris Claremont, più recentemente da una serie di variant cover per varie collane della Casa delle Idee.Niente di scandaloso in queste illustrazioni se non una rivisitazione in chiave “manariana” di Emma Frost, Medusa, Angela, Scarlet Witch, Shanna, Valkyria, Gamora (c’è anche Thor in elenco!).



Nulla fino ad oggi, perché sembrerebbe che la cover per l’esordio della nuova testata dedicata a Spider-Woman sia un po’ troppo piccante anche per gli standard artistici del mercato americano.
Secondo molte critiche, il maestro avrebbe ritratto l’eroina in una posa del tutto innaturale, volta a sbattere gratuitamente in faccia all’acquirente (maschio) un dose di erotismo non correlato alla natura del fumetto, una supereroina dotata dei poteri equivalenti di un ragno che combatte il crimine per le strade e i tetti di New York viene presentata come un voluttuoso oggetto del desiderio, che usa più la propria carica erotica che non i suoi superpoteri nella sua missione. Alle critiche sul dubbio gusto e l’opportunità dell’illustrazione dell’artista italiano  si sono aggiunte quelle tecniche di merito, dallo scarso rispetto per anatomia e proporzioni alla evidente mancanza di un vero e proprio costume ma più una sorta di body-painting che rivela ed esalta ogni più leggera ehm…rientranza del corpo
A mio avviso occorre distinguere le due cose. Premesso che criticare un maestro, quando la critica è argomentata e motivata, non può fare che bene sia al destinatario che a tutti i beneficiari eventuali, quello che stona in questa storia è sia il contesto che il bersaglio.
Mettiamola così: le precedenti variant cover non erano così “erotiche”, era evidente la mano di Manara, il pennello di un maestro che non frequenta, o non ha frequentato in passato, il genere supereroistico e che ha adottato, di sua iniziativa oppure su specifica indicazione, un approccio diciamo così neutro. Questo non è accaduto con questa cover. Possiamo supporre che Manara abbia voluto osare un po’ di più, calcando la mano sugli aspetti per così dire ragneschi della figura di Jessica Drew, forse si è documentato o forse è stato imbeccato. Tuttavia sembra esserci acceso un focolaio intorno a questa illustrazione e l’impressione, per chi conosce un po’ il mercato dei comics, è che con questo attacco, forte anche del fatto che va a colpire un’icona come Milo Manara, che ha anche il difetto di essere un po’ in là con gli anni e per giunta italiano, si è voluto dare un segnale e nel contempo trovare un capro espiatorio. Per cosa? Ovviamente per lo sciovinismo maschile di ritrarre la donna nei comics, fino a qualche anno fa quasi esclusivo appannaggio degli uomini, sia tra chi i fumetti li compra sia chi i fumetti oggi li fa!
Chiariamoci,  femmine che leggono fumetti ci sono sempre state (io ne ho conosciute poche ma questo è un altro discorso) così come tra i disegnatori, pardon, artisti, e le sceneggiatrici ve ne sono sempre state. Credo che sarebbe un’inutile censura quella di criticare la benché minima espressione di creatività che possa offendere qualcuno o qualche categoria, finiremmo alla lunga nel riesumare la caccia alle streghe e cantare le lodi di un ideale passato periodo di purezza che nessuno ha mai conosciuto veramente nel quale semplicemente qualche autorità decideva per altri. La conquista migliore oggi è la libertà con la quale nasciamo di diritto: se non si compiono azioni  che mettano in pericolo qualche essere umano, che sia il pubblico a decidere cosa piace e cosa no, salvaguardando il sempre sacrosanto diritto alla critica e non all’offesa, portando avanti la propria personale battaglia su ciò che ritiene di buon gusto.
Gli anni ’90 hanno visto un’escalation di tette, sederi e cosce femminili in bella vista che ammiccavano fin dalla copertina ma non supportati da storie all’altezza, da personaggi interessanti e disegni curati ( la cover e le sue numerose versioni alternative evidentemente contavano maggiormente  che non le  pagine interne) , quei fumetti sono al minimo spariti dalla circolazione, il mercato si è autoregolato.
Lasciamo che Manara disegni le sue versioni delle supereroine americane con lo stile che gli è proprio, chi lo trova interessante lo acquisterà, chi lo trova disdicevole lo lascerà sugli scaffali della propria fumetteria preferita.

venerdì 8 agosto 2014

Non mi esce dalla testa (25)

La città è diversa ma è la stessa, ieri era più grigia di oggi forse? Nelle mie gambe invece ci sono strade e viottoli che nascondono storie e sorprese, ogni pietra il passo di una corsa, ogni angolo l'avventura banale e avvincente di rincorrersi e scappare, arrivare ad un muro ed urlare "TANA!".
Il 1980 non mi è mai sembrato così lontano.


domenica 27 luglio 2014

WW:SvB! ;D

Il Comic-Con di San Diego (per gli amanti del gergo 2.0, amichevolmente #SDCC) negli ultimi diciamo dieci anni è cresciuto esponenzialmente in termini di offerta, di hype e di occasioni per stupire e divertire. Da fiera quasi esclusivamente dedicata ai comics, l'evento oggi attira su di sé l'attenzione anche dei media tradizionali, compresi quelli digitali, gli aggregatori, i blog e non solo la stampa cosiddetta specializzata. La ragione è molto semplice, nei panel che nella quattro giorni di manifestazione si affastellano l'uno dietro all'altro, ci sarebbe da riempire una catasta di terabyte di materiale tra foto di celebrità che firmano autografi o salutano i fan, tavole rotonde sulla nuova trilogia di Star Wars, anticipazioni e trailer dei prossimi blockbuster naturalmente a tema fantastico/fantasy/action/supereroistico o semplicemente tratto da fumetti o novel di successo, sfilate di cosplayer che spaziano dal pacchiano all'eccezionale (ma tutti/tutte con uguale convinzione e passione). Ah, ci sono anche i fumetti (le case editrici presentano i loro piani editoriali, i nuovi team creativi e le storyline future ma andiamo, a chi importa finché non ci fanno un film o una serie tv da mandare in prima serata?).
Ovviamente per chi non ha la possibilità di essere materialmente presente al Comic-Con (ma occorrerebbe andarci almeno una volta nella vita, ah questi occhi le cse che potrebbero vedere che nemmeno Rutger Hauer...) può sempre scegliere la via breve: twitter e facebook, prime scelte, oppure canali ufficiali delle case editrici su Youtube o siti specializzati che riportano le sintesi di ciascun panel tipo questo o questo.
In questi giorni abbiamo fatto il pieno di annunci, trailer e interviste, tutto molto bello, tutti bravi, ognuno fa il suo sporco lavoro di marketing (il vocabolario in queste situazioni si riduce alle solite quattro frasi standard o alle improbabili dichiarazioni dettate da ogni ufficio stampa: "è la cosa migliore che ho fatto!", "è più grosso/profondo/migliore/coinvolgente del precedente!", "non crederete ai vostri occhi!", "vi cadrà la mascella!" i punti esclamativi non sono i miei) ma rimane il fatto che cominciano pian pianino a definirsi il plot e i personaggi del prossimo Man of Steel, il sequel del film di Superman di Zack Snyder che sembra sempre più un tentativo della DC di bruciare le tappe e raggiungere la Marvel che ha fatto un grosso sforzo produttivo e un'ottima pianificazione da 7-8 anni a questa parte.
L'ultima in ordine di apparizione è proprio al Comic-Con con la prima immagine ufficiale di Wonder Woman, interpretata dall'israeliana Gal Gadot

 

Se son rose magari fioriranno. O forse faranno semplicemente schifo.