mercoledì 22 giugno 2011

Qui, dopo, per sempre, mai...Hereafter



Qualche giorno fa ho avuto la malsana idea di vedere Hereafter, l'ultimo capolavoro di Clint Eastwood in ordine cronologico, uscito ad inizio anno nei cinema italiani.
Tempo addietro avevo sentito un'intervista al vecchio Clint su Hollywood Party, la strasmissione di radio3 dedicata al cinema, un'intervista piacevole dove si alternavano i ricordi dei suoi trascorsi italiani con i suoi pensieri attinenti al tema centrale attorno al quale ruota il film, ovverosia cosa c'è dopo la morte (con o senza punto interrogativo, a piacere).
In base a queste intervista e al trailer che circolava online ero un po'indeciso se e quando vederlo, rimasto un pochino deluso dal precedente Invictus, sempre con Matt Damon protagonista, film che scorre bene ma che sbiadì non appena ebbi finito l'ultimo fotogramma (sicuramente incomparabile con Gran Torino e Million Dollar Baby).

Già l'accostamento tra un tema tanto universale ma anche delicato come l'aldilà e un attore/regista dai trascorsi come Clint balza agli occhi per quantomeno "inusualità" ma in fondo a 80 anni suonati non è poi tanto strano voler indagare l'animo umano su questo aspetto.
E questo è proprio quello che mi ha più favorevolmente colpito del film che evita la prosopopea mitica del trascendente nelle sue salse mistiche e tanto meno lo affronta con un baraccone di effetti speciali (non sarebbe un film di Eastwood d'altronde).
No, la scelta è quella di seguire le vite di persone sconvolte da un evento che li ha portati a convivere quotidianamente con il senso dell'abisso dentro di sè e come poi queste, per le fatalità del destino materializzato dalla sceneggiatura di Peter Morgan, si intreccino nel parte finale del film.

A proposito...ATTENZIONE, ALERT, ACHTUNG, SPOILER!
Le storie sono quelle di Marie Lelay, una giornalista di inchieste francese che si ritrova tra le vittime dello tsunami del 2004 in Indonesia,


di Geroge Lonegan, sensitivo americano che ha trovato rifugio da quella che considerava a tutti gli effetti una non vita nel lavoro in fabbrica



e Marcus, un undicenne londinese timido e taciturno che condivide con il suo più brillante e loquace gemello Jason una famiglia sfasciata nella struttura gerarchica, padre assente e madre tossicodipendente, tuttavia legati da un forte sentimento di amore e condivisione, messa in forse dagli interventi degli assistenti sociali (di certo non gratuiti vista la condotta della madre).



Mentre George cerca di condurre una vita normale nonostante le insistenze del fratello a riprendere il suo ruolo di psichico intermediaro con i morti, Marie sperimenta durante lo tsunami una quasi-morte (due soccorritori la danno per spacciata dopo vari tentativi di rianimazione) che cambierà per sempre la sua vita e le priorità che l'hanno fatta essere la reporter d'assalto nota al suo pubblico ed ai suoi collaboratori, Marcus assiste gli ultimi istanti di vita di Jason dapprima al cellulare poi accorrendo sul luogo dell'incidente d'auto che ne ha causato il trapasso (originato dalla fuga di Jason da un gruppo di giovani bulli).
Il film si muove quindi su binari lenti e ponderati, soffermandosi sulle graduali trasformazioni che questi accadimenti hanno avuto sulle loro vite.
Marie, di cui poco sappiamo prima dell'incidente ma che è facile intuire dalle parole del sul partner nonché direttore, viene poco a poco risucchiata dai dubbi e cerca delle risposte su ciò che ha visto o pensa di aver visto, dubbi che si evolvono in una granitica ricerca della verità che sfocia in una ricerca ossessiva poi in una certezza, tanto da farle scrivere un libro sulla sua esperienza nel limbo del "qui" e del "dopo" (Hereafter è il titolo del suo libro che presenterà a Londra).
George insegue disperatamente una vita normale perchè sente che è alla sua portata ma è solo una maschera, una specie di menzogna che placa soltanto con l'ascolto degli audiolibri di Charles Dickens, mentre tutti coloro che vengono a sapere del suo dono inevitabilmente diventano distanti (verrebbe da dire quasi più "fantasmi" dei morti con cui entra in comunicazione), compreso il fratello che vede in lui una macchina per fare soldi.



Un possibile bella storia con una sua compagna del corso di cucina italiana che frequenta viene stroncata per sempre quando lei lo convince a fare una seduta.
Marcus è costretto a lasciare la madre, ricoverata in un istituto di recupero, e finisce in una famiglia nuova (una coppia che già in passato aveva dei bambini in affido) ma il suo mondo è vuoto e lui è solo, non ha altri amici se non il ricordo del fratello testimoniato dal quello che era il suo inseparabile berretto.



Il rapporto di Marcus con la realtà, se così si può dire, riprende quando intraprende un lungo pellegrinaggio alla ricerca (tanto disperata e commovente quanto umilianti e grotteschi gli esiti) di un modo per tornare in contatto con il fratello e ciò lo conduce al sottobosco di millantatori e e truffatori dell'occulto, fino a quando non si imbatte nel sito di un certo George Lonegan...


Il ritmo del film sale e con esso la sinfonia di emozioni che si fanno intense ma non invadenti, accompagnando la narrazione e con essa noi spettatori verso il finale londinese nel quale i paralleli dei protagonisti ora si piegano e tendono a convergere.
Assolutamente strappalacrime il congedo di Marcus dal fratello (ottima scelta di Clint dei due gemellni esordienti che hanno saputo trasmettere la vera pena per una situazione così straziante) mentre uno smarrito quanto desolato George ammette che dopo tante sedute non sa ancora dove vanno i morti che lasciano questo piano dell'esistenza. Lo stesso Marcus metterà in contatto George con Marie, che aveva incontrato alla fiera del libro e che aveva compreso essere il tassello mancante della sua vita, una donna speciale come lui e che non l'avrebbe allontanato.


Il film si chiude quindi con una visione ottimista e carica di speranza, lasciando intendere che se da una parte sono i vivi ad essere le vere vittime della morte (continuiamo a soffrire con la consapevolezza della fine prossima e la pena di essere soli) dall'altra questa stessa condizione di caducità ci deve spingere a vivere il nostro breve tempo su questa terra nel modo migliore possibile, non rinunciando mai a sperare.

Naturalmene consiglio di vederlo in lingua originale, così da apprezzare meglio l'interessante e coinvolgente recitazione di tutti i personaggi (nei film di Clint anche i personaggi di seconda e terza fila diventano a tutto tondo con due battute ed una espressione) e le emozioni che certe scene sanno smuovere.

La sensibilità del film è tutta chiaramente di stampo occidentale/cristiano con i suoi riferimenti culturali e la religione cristiana (non tanto quella cattolica)  sullo sfondo, connotata dalla paura che tutto finisca e che sia irrimediabilmente perduto e che non si trovi pace alle non risposte sulla possibilità di una "vita" oltre la morte.

Se devo riassumere in due parole il film sono delicato ed appropriato. Altro non so dire se non raccomandare di vederlo, magari stretti alla vostra persona più cara.

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